Accademia per le autonomie
Ministero dell'Interno UPI - Unione Province d'italia     ANCI - Associazione Comuni Italiani
Il nuovo ordinamento delle province
 
Le nostre iniziative
 

In questa sezione verranno messi a disposizione i materiali relativi alle nostre iniziative, suddivisi per argomento o tematica affrontato e sottoriportati. E' possibile inoltre porre quesiti, di interesse generale, per ogni tematica. Le risposte saranno messe a disposizione attraverso il sistema di FAQ in continuo aggiornamento.

E’ vietato qualsiasi utilizzo dei materiali didattici per finalità commerciali o a scopo di lucro. 
 

 
Argomenti
 
Domande frequenti (FAQ)
  1. A quanto ammonta, complessivamente, la spesa delle Province per attività di assistenza tecnica?
    (Argomento: G) Le funzioni di assistenza tecnico amministrativa)
    I dati forniti dai bilanci delle Province indicano i seguenti valori per le ultime 4 annualità disponibili: nel 2010 9,1 milioni di euro, pari allo 0,11% della spesa corrente complessiva; nel 2011 l’impregno sul fronte dell’assistenza tecnica diminuisce a 8,6 milioni di euro; ancora riduzione del 2012, anno in cui la spesa è di 8,1 milioni (lo 0,07% della spesa corrente totale). Nel 2013 la spesa è di 5,4 milioni.
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  3. Quali sono le Province che nel 2013 hanno svolto attività (o affidato servizi) di Assistenza tecnica ed amministrativa ai Comuni?
    (Argomento: G) Le funzioni di assistenza tecnico amministrativa)
    La rilevazione delle attività di assistenza tecnica svolte dalle Province nel corso del 2013 (come anche per gli anni precedenti) avviene attraverso l’analisi dei certificati del conto consuntivo riferito all’anno di interesse. Le Province che hanno svolto un volume di attività apprezzabile vengono identificate sulla base di un volume della spesa sostenuta per questa specifica attività che nel corso del 2013 superiore a 5000 Euro. Fatta questa premessa, le Province che risultano avere svolto attività di Assistenza tecnica sono riportate nella tabella che segue: a fianco del nome ci ciascuna Provincia. Nome della Provincia / Spesa x Ass. tecnica ai Comuni BOLOGNA 1.883.074 VITERBO 747.287 TORINO 454.057 MANTOVA 392.000 REGGIO DI CALABRIA 323.230 BRESCIA 315.720 PADOVA 270.033 PESARO E URBINO 236.398 NUORO 161.252 PAVIA 126.505 CALTANISSETTA 118.854 BENEVENTO 92.639 ASTI 56.663 ALESSANDRIA 48.345 MILANO 45.847 POTENZA 43.258 CAMPOBASSO 25.500 PISA 20.000 COMO 17.834 TRAPANI 16.543 ISERNIA 11.078 CREMONA 6.000
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  5. Secondo quali criteri ermeneutici devono essere interpretate le nuove funzioni fondamentali delle Province, previste dall’art. 1, comma 85 della legge 56/2014?
    (Argomento: A) La legislazione regionale di attuazione della legge 56/2014)
    Uno degli aspetti maggiormente caratterizzanti la riforma operata con legge 56/2014, riguarda senza dubbio l’ampiezza, il perimetro e i conseguenti criteri interpretativi delle nuove funzioni fondamentali. Il processo che ha portato alla descrizione legislativa delle nuove funzioni è infatti molto lungo, ed è passato attraverso quasi un decennio di tentativi volti a dare attuazione alla prima legge conseguente alla riforma del Titolo V riformato nel 2001. Si tratta, come noto, della legge 131/2003, che delegava il Governo ad adottare, (entro il 31 dicembre 2005), uno o più decreti legislativi diretti alla individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di Comuni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento. Nella visione di quel periodo, le funzioni fondamentali venivano quindi connotate di due attributi principali: essere “essenziali” per il funzionamento degli enti ed essere capaci di soddisfare i “bisogni primari” delle comunità amministrate. Come altrettanto ben noto, il tentativo di dare all’ordinamento un elenco di funzioni fondamentali che rispettassero tali requisiti è stato perseguito diverse volte, sia dall’iniziativa legislativa parlamentare che da quella governativa. Ma non si erano registrati risultati significativi almeno fino al 2009 e, anche oltre quella data, l’elenco delle funzioni fondamentali è rimasto precario e provvisorio, “in attesa di una riforma organica del Testo Unico Enti Locali” che non è mai arrivata. Per quasi tutto il periodo dal 2001 al 2009, l’interpretazione delle funzioni fondamentali restava pertanto agganciata alla sistematica tradizionale, che fin dal d.P.R. 616/77 aveva distinto le funzioni amministrative dei Comuni e delle Province all’interno di uno schema logico suddiviso tra funzioni dedicate “al territorio e all’ambiente”, “allo sviluppo economico e sociale” e “ai servizi alla persona”. A tali funzioni, contraddistinte dall’essere rivolte direttamente all’utenza esterna, la legge 42/2009 aveva poi aggiunto le funzioni cd. “strumentali” o altrimenti dette “di amministrazione generale, gestione e controllo”, cioè quelle funzioni effettivamente “essenziali” (nella logica della legge 131/2003) al funzionamento della macchina amministrativa di ciascun ente locale. La legge 42/2009 non innovava, tuttavia, soltanto nella tipologia di funzioni amministrative, ma anche nella scelta dei criteri per la loro interpretazione. L’art. 21 di quella legge delega, infatti, prevedeva che: “Ai soli fini dell'attuazione della presente legge, e in particolare della determinazione dell'entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale di cui agli articoli 11 e 13, in sede di prima applicazione, nei decreti legislativi di cui all'articolo 2 sono provvisoriamente considerate ai sensi del presente articolo, ai fini del finanziamento integrale sulla base del fabbisogno standard, le funzioni individuate e quantificate dalle corrispondenti voci di spesa, sulla base dell'articolazione in funzioni e relativi servizi prevista dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1996, n. 194”. Nella norma che si è riportata vi era il primo tentativo di abbandonare la sistematica tradizionale di classificazione delle funzioni amministrative (territorio-ambiente/sviluppo economico/servizi alla persona) per adottare, invece, la sistematica per “funzioni/servizi” prevista dagli schemi contabili dei bilanci degli enti locali. Come si può agevolmente leggere dal tenore della disposizione, questa innovazione era assai timida e precaria: infatti non intendeva produrre altro risultato che misurare la dimensione finanziaria del primo elenco di funzioni fondamentali offerto dalla legge 42/2009, alla luce dei corrispondenti stanziamenti di bilancio. Non si dimentichi, infatti, che lo scopo principale di quella legge non era “risolvere” l’annosa questione delle funzioni (il chi-fa-che-cosa) ma era piuttosto quello di avviare in concreto un sistema di misurazione delle funzioni che fosse omogeneo a livello nazionale e che permettesse di adottare i “costi e fabbisogni standard” per ciascuna funzione amministrativa. Erano gli esordi del federalismo fiscale, poi immediatamente travolti dalle opposte esigenze di “spending review”, già a partire dal 2012. L’evoluzione dei criteri ermeneutici delle funzioni fondamentali ha segnato quindi una nuova tappa con il D.L. 95/2012, che si è posto l’obiettivo di superare l’intrinseca precarietà del catalogo fornito nel 2009 con un elenco stabile, seppure ancora dichiarato valido “in via transitoria”, sempre in attesa di una (mai arrivata) riforma organica del Testo Unico Enti Locali. Sappiamo che, per quanto riguarda le province (e le città metropolitane), tutto l’impianto del D.L. 95/2012 (tra cui, anche l’elenco di funzioni fondamentali) è stato poi dichiarato illegittimo dalla sentenza n. 220/2013 della Corte Costituzionale, ma – per quanto riguarda il tema dei criteri di interpretazione - esso va ugualmente ricordato, poiché ha rappresentato un passaggio significativo, nella misura in cui ha abbandonato il driver della classificazione contabile per interpretare il contenuto delle funzioni amministrative, fondamentali e non. Non vi era più, infatti, nel D.L. 95/2012 alcun riferimento al d.P.R. 194/1996 e, pertanto, l’interpretazione delle funzioni (in particolare di quelle fondamentali) veniva lasciata priva di qualsiasi riferimento legislativo primario. Inoltre, nell’elenco di nuove funzioni fondamentali disegnato da quel decreto non vi era più alcun riferimento alle cd. “funzioni strumentali, di amministrazione e controllo”, facendo così perdere alla rappresentazione del costo delle funzioni amministrative degli enti locali una parte estremamente significativa. La disciplina voluta dal Governo Monti nel luglio 2012 è però rimasta in vigore soltanto un anno, senza produrre sostanziali effetti applicativi: poi, la citata sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2013 ha rappresentato il punto definitivo di svolta di un processo durato dieci anni e, nei fatti, inconcludente. Sul piano tecnico, la sentenza ha abrogato l’elenco delle funzioni fondamentali di Province e Città Metropolitane contenuto nel D.L. 95/2012, che a sua volta aveva abrogato (implicitamente per le province, ed esplicitamente per le città metropolitane) le corrispondenti norme della legge 42/2009. Per evitare una (peraltro improbabile) reviviscenza delle norme abrogate (o, peggio, un clamoroso salto indietro nel tempo fino alle previsioni del TUEL) il legislatore si è quindi trovato nella necessità di restituire urgentemente un nuovo catalogo di funzioni fondamentali per gli enti di area vasta. Di qui, probabilmente, anche l’accelerazione che ha caratterizzato, fin dall’inizio, tutto il procedimento legislativo che ha portato alla legge 56/2014. La legge ha raggiunto lo scopo prefissato, cioè quello di fornire un elenco di funzioni fondamentali, ma non ha risolto il nodo dell’interpretazione. A parziale sollievo, tuttavia, è nel frattempo intervenuta la riforma dell’ordinamento contabile, nota come “armonizzazione”. Combinando la nuova classificazione delle spese per “missioni/programmi” con l’elenco di funzioni fondamentali contenuto nell’art. 1, commi 44, 85, 86 e 88 della legge 56/2014 si ottiene pertanto un sufficiente quadro di riferimento ermeneutico. Di talché, la migliore interpretazione possibile del contenuto delle funzioni (in assenza di un quadro definito a livello di legislazione primaria) è data dalla “tabella di mappatura” che è scaturita dal processo attuativo dell’Accordo Stato-Regioni del 11/9/2014 e dal correlato d.P.C.M 26/9/2014 (GU Serie Generale n.263 del 12-11-2014). La tabella riporta, come segue, l’elenco di tutte le funzioni amministrative degli enti di area vasta e, all’interno di essa, vanno rinvenute le funzioni qualificate come fondamentali dal legislatore della 56/2014. 1 - Istituti di istruzione secondaria 2 - Istituti gestiti direttamente dalla Provincia 3 - Formazione professionale ed altri servizi inerenti l'istruzione 4 - Biblioteche, musei e pinacoteche 5 - Valorizzazione di beni di interesse storico, artistico e altre attività culturali 6 - Turismo 7 - Sport e tempo libero 8 - Trasporti pubblici locali 9 - Viabilità 10 - Urbanistica e programmazione territoriale 11 - Difesa del suolo 12 - Servizi di tutela e valorizzazione ambientale 13 - Organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale 14 - Rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque e delle emissioni atmosferiche e sonore 15 - Caccia e pesca nelle acque interne 16 - Parchi naturali, protezione naturalistica e forestazione 17 - Tutela e valorizzazione risorse idriche ed energetiche 18 - Servizi di protezione civile 19 - Sanità 20 - Assistenza infanzia, handicappati e altri servizi sociali 21 - Agricoltura 22 - Industria, commercio e artigianato 23 - Mercato del lavoro 24 - Funzioni generali di amministrazione, gestione e controllo. Va da sé che la tabella di mappatura non risolve perfettamente la questione ermeneutica, poiché in essa vi sono sia funzioni fondamentali che funzioni non fondamentali. Tuttavia, essa è la base attuale di partenza per la soluzione dei problemi interpretativi sul perimetro delle funzioni fondamentali. Sulla base di quanto stabilito dal citato Accordo Stato-Regioni, la soluzione, in concreto, dipende da ciascun legislatore regionale, il quale in sede di riordino delle funzioni non fondamentali (ai sensi dell’art. 1, commi 89 e ss. della legge 56/2014) può eventualmente differenziare l’ampiezza (anche) delle funzioni (fondamentali) mediante l’esercizio della propria potestà legislativa concorrente o esclusiva.
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  7. Le nuove funzioni fondamentali delle Province e delle Città Metropolitane, previste dall’art. 1, commi 44, 85 e 88 della legge 56/2014, hanno un contenuto omogeneo tra loro?
    (Argomento: A) La legislazione regionale di attuazione della legge 56/2014)
    No, la legge 56/2014 ha confermato alle Province la natura di enti pienamente titolari di alcune specifiche funzioni fondamentali di programmazione, coordinamento e gestione di politiche e servizi di area vasta. Ma, allo stesso tempo, anche per agevolare un più intenso rapporto funzionale con i Comuni, la legge ha previsto un ulteriore catalogo di funzioni esercitabili mediante intese tra le Province e i Comuni del territorio, per la gestione unitaria di nuove e ulteriori funzioni e servizi che oggi sono frammentati tra i due livelli di governo. La legge 56/2014, quindi, ha consolidato in capo alle Province la titolarità di alcune funzioni amministrative già esercitate che diventano funzioni fondamentali, e ne ha aggiunto di nuove rispetto alle funzioni storicamente svolte ai diversi titoli di legittimazione della “attribuzione statale” (TUEL e altre leggi), “delega” (D.P.R.616/77), “attribuzione regionale”, o “trasferimento” (D.Lgs. 112/98). E’ del tutto evidente che nei nuovi cataloghi di competenze si ritrovano molte delle funzioni o delle attività amministrative precitate, ma la legge 56/2014 non ha offerto strumenti di ricomposizione delle precedenti funzioni con le nuove. L’elenco delle funzioni fondamentali è quindi piuttosto eterogeneo: vi rientrano sia competenze puntuali come, ad esempio, la “pianificazione territoriale provinciale di coordinamento”, sia funzioni amministrative generali come, ad esempio, la “tutela e valorizzazione dell'ambiente”. Come già detto, la nuova definizione delle funzioni fondamentali delle Province operata dallo Stato implica pertanto qualche conseguenza di tipo interpretativo. In particolare, deve essere superato l’assetto delle attuali funzioni esercitate delle Province, che deriva da una concatenazione di esercizio della potestà legislativa dello Stato e della Regione che si è stratificata nei decenni passati. Tale esercizio concatenato ha determinato anche delle sovrapposizioni di compiti, in virtù delle quali le province hanno ricevuto in via diretta alcune funzioni (o parti di esse) dallo Stato (secondo quanto era previsto dal “vecchio” art. 128 Cost.) e altre dalle Regioni. Inoltre, l’esercizio della potestà legislativa è avvenuto in gran parte antecedentemente alla riforma del Titolo V, cioè negli anni dal 1997 al 2001, quindi in modo non sempre coerente con le regole di distribuzione che poi sarebbero state previste nel “nuovo” art. 118 Cost. Da ciò deriva l’attuale commistione di titoli di legittimazione e di fonti attributive delle competenze provinciali, un nodo che oggi va razionalizzato seguendo i criteri stabiliti dall’Accordo Stato-Regioni del 11/9 e che, le leggi regionali finora approvate non hanno ancora sciolto del tutto. Vale la pena di ricordare, a questo riguardo, che i criteri dell’Accordo impegnano le Regioni a: - rispettare l’attribuzione alle Province delle diverse attività amministrative riconducibili alle nuove funzioni fondamentali; - ricomporre in modo organico in capo alle Province tutte le competenze che impropriamente sono esercitate da altri soggetti amministrativi e che invece rientrano nelle funzioni fondamentali; - trasferire eventualmente ad altri livelli di governo le competenze amministrative oggi svolte dalle Province che, a seguito del processo ermeneutico, non rientreranno nelle loro funzioni fondamentali; - sospendere il riordino delle funzioni che sono oggi coinvolte in processi di riforma legislativa in atto, come quelle sul mercato del lavoro o sulla polizia provinciale. Un approccio “inclusivo” e volto alla continuità amministrativa, dovrebbe ricondurre – ad esempio - le attuali funzioni svolte dalle Province in materia di controlli e autorizzazioni ambientali, caccia e pesca, protezione della flora e della fauna, gestione dei parchi e delle aree protette, organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, protezione civile alla nuova funzione fondamentale di “tutela e valorizzazione dell'ambiente” prevista dall’art. 1, comma 85 della legge. Lo stesso tipo di approccio dovrebbe permettere di comprendere le funzioni in materia di orientamento scolastico e di diritto allo studio alla “programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale”. Un simile approccio appare l’unico in grado di restituire all’elenco di funzioni fondamentali una minima omogeneità di impegno amministrativo e gestionale. Mentre l’approccio opposto, di tipo “esclusivo” e basato su una interpretazione letterale del catalogo, manterrebbe una notevole disomogeneità ai compiti assegnati dallo Stato alle nuove Province.
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  9. Le Regioni possono incidere sul contenuto delle funzioni fondamentali delle Province o riattribuire loro delle funzioni non fondamentali?
    (Argomento: A) La legislazione regionale di attuazione della legge 56/2014)
    Sì, ma con sostanziali limiti imposti dalla legge 56/2014 e, soprattutto, dall’Accordo Stato-Regioni dell’11/9/2014. E’ del tutto evidente, infatti, che le Regioni hanno la potestà di disciplinare, nelle materie di propria competenza legislativa anche le funzioni fondamentali, ma - come noto- l’art. 8, lett. c) dell’Accordo Stato-Regioni del 11/9/2014 ha previsto una sostanziale limitazione della potestà legislativa regionale, stabilendo che in capo alle Province debbano essere mantenute unicamente le funzioni coerenti con le finalità proprie di questi enti, vale a dire le funzioni coessenziali alla natura di enti di area vasta delle Province, così definite dall'art. 3 della legge 56/2014. L'ultimo periodo della lettera c) recita infatti: "Pertanto ad esse (Province) devono essere riassegnate solo le funzioni che, tenendo conto di quelle fondamentali di cui al comma 85 e 88 e della piena attuazione del comma 90 dell'art.1 della legge , sono ad esse (Province) riferibili, anche con riguardo al contesto proprio di ciascuna Regione." L'Accordo riafferma quindi che le Regioni, nelle scelte di riordino delle funzioni non fondamentali, non devono ricondurre alle Province funzioni che siano incompatibili con la loro finalità istituzionale di enti di area vasta, ma che hanno piena possibilità di riassegnare alle Province le funzioni che siano riferibili a quelle fondamentali, ai sensi dell’art. 1, commi 85 e 88 della legge 56/2014. Anche la riattribuzione di funzioni amministrative alle Province è tecnicamente ammissibile in sede di riordino, ma la legge 56/2014 e la legge 190/2014 non hanno chiarito quale debba essere il trattamento del costo di tali funzioni, con particolare riferimento la spesa per il personale. Vi è sul punto la sola indicazione proveniente dalla Circolare 1/2015 della Funzione Pubblica, che – nel descrivere il percorso di mobilità regionale “lett.a)” – indica di valutare le funzioni regionali sulla base dell’assetto precedente alla legge 56/2014. In questa logica, qualsiasi ri-attribuzione di funzioni operata dalle Regioni che dovesse esorbitare da una interpretazione restrittiva e letterale delle “nuove” funzioni fondamentali dovrebbe diventare a carico delle Regioni.
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  11. Le funzioni cd. “strumentali, di amministrazione, gestione e controllo” delle Province sono funzioni fondamentali?
    (Argomento: A) La legislazione regionale di attuazione della legge 56/2014)
    La legge 56/2014 non ha più previsto, tra le funzioni fondamentali delle Province e delle Città Metropolitane, le funzioni di amministrazione e controllo, strumentali al funzionamento degli stessi enti. Lungi dal poter considerare tale omissione una svista del legislatore, occorre dunque chiedersi le ragioni di questa scelta. Le funzioni in parola non sono, in realtà, del tutto scomparse dall’elenco di funzioni fondamentali, poiché le si ritrova indirettamente citate tra le funzioni dell’art. 1, comma 88 della legge, cioè quelle funzioni – esercitabili su intesa con i Comuni – di assistenza tecnico-amministrativa. Dal punto di vista funzionale, queste ultime attività sono prettamente rivolte all’utenza, quindi non di natura dissimile dalle altre qualificate come fondamentali nel comma 85. Esse, infatti, servono a fornire servizi di supporto, sia tecnico che amministrativo, a un beneficiario esterno all’amministrazione provinciale. Il legislatore, in questo senso, si è anche premurato di declinare alcuni esempi di detti servizi, in un catalogo che non è esaustivo ma che può essere implementato sia per via dell’autonomia statutaria delle Province, e sia per effetto dei medesimi “accordi” o “intese” che sono il veicolo giuridico prescelto dal legislatore. Data la natura pattizia di tale esercizio, va da sé che il loro contenuto può essere ampliato à la carte. Dal punto di vista dei fattori necessari alla produzione di tali servizi di assistenza, però, le funzioni del comma 88 non sono dissimili da quelle “generali, di amministrazione, gestione e controllo”, poiché coinvolgono l’impiego di professionalità di natura amministrativo-contabile, oppure tecnica, molto diffuse nei cd. “servizi strumentali” delle Province. Ecco, quindi, emergere indirettamente le funzioni strumentali tra le funzioni fondamentali, e spiegare la scelta del legislatore di non menzionarle anche nel comma 85, dacché le ha già richiamate nel comma 88, riconfigurando le macchine amministrative delle Province nel nuovo ruolo di enti a servizio dei Comuni, come il Governo ha avuto modo di ribadire infinite volte. Bisogna quindi concludere che il legislatore ha espresso una chiara volontà di recedere da un modello gestionale “pesante” (che quindi richiede uffici strumentali altrettanto pesanti), per accedere a un nuovo modello di “ente di servizio”, le cui risorse strumentali vengono immediatamente rese disponibili al nuovo utente prioritario, cioè i Comuni. Una scelta, questa, che richiederà inevitabilmente un notevole sforzo di riconversione e riorganizzazione delle tecnostrutture provinciali.
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  13. Qual è la fisionomia istituzionale delle nuove Province, dopo la legge 56/2014?
    (Argomento: A) La legislazione regionale di attuazione della legge 56/2014)
    Nell’individuare la nuova fisionomia delle Province occorre tenere conto di due fattori principali: da un lato, la perdita della sovranità originaria ottenibile soltanto con le elezioni a suffragio universale e diretto, e il passaggio all’elezione indiretta da parte di un elettorato qualificato che ha la sua base elettorale nei Sindaci e nei consiglieri comunali. Dall’altro lato, la progressiva regionalizzazione delle competenze ottenibile mediante le leggi regionali di riordino. Questi due fattori conferiscono ai nuovi enti di area vasta una fisionomia “bifronte”, che fa definitivamente perdere loro la connotazione di enti generalisti, tipici della tradizione amministrativa italiana. Le nuove Province hanno infatti un occhio rivolto agli interessi dei protagonisti del loro “patto genetico”, quindi ai Comuni; e un altro occhio, rivolto invece agli interessi delle Regioni, che – a seconda delle dinamiche di decentramento o di riaccentramento – possono valorizzarne (o meno) il ruolo di amministrazioni attive di una multilevel governance basata sui principi di sussidiarietà e differenziazione.
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  15. Sono previste deroghe al divieto di assunzioni a tempo indeterminato presso le Province?
    (Argomento: D) Organizzazione degli uffici dell'ente)
    L’unica deroga espressa ai divieti di assunzione è prevista soltanto dall’art. 7, comma 6 della Legge 125/2013, con riferimento alle categorie protette (“La disposizione del presente comma deroga ai divieti di nuove assunzioni previsti dalla legislazione vigente”). In generale il divieto trova la prima definizione nell’art. 16, comma 9, del Decreto Legge 6 luglio 2012 n. 95 - “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” -, convertito in Legge 7 agosto 2012 n. 135, impone il divieto di assunzioni a tempo indeterminato: “Nelle more dell’attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione delle Province è fatto divieto alle stesse di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato”. Il Decreto Legge 31 agosto 2013 n. 101 – “Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni” - , convertito in Legge 30 ottobre 2013 n. 125, ha confermato espressamente la vigenza dell’art. 16, comma 9, del D. L. 6 luglio 2012 n. 95, convertito in Legge 7 agosto 2012 n. 135. L’art. 3, comma 5 del Decreto Legge 24 giugno 2014 n. 90 – “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari” - , convertito in Legge 11 agosto 2014 n. 114, ribadisce il divieto di assunzioni a tempo indeterminato per le Province, confermando quanto disposto dall’art. 16, comma 9, del D. L. 95/2012. Il comma 6 conferma l’eccezione per le assunzioni di personale appartenente alle categorie protette ai fini della copertura delle quote d’obbligo. L’art. 1, comma 420, della Legge 190/2014 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2015 alle Province delle Regioni a statuto ordinario è fatto divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, anche nell’ambito delle procedure di mobilità. La circolare ministeriale n. 1/2015 chiarisce che a decorrere dal 1° gennaio 2015 il divieto si applica alle sole province e non anche alle città metropolitane, fatti salvi gli effetti di riduzione della spesa corrente derivanti per queste ultime dal comma 418 della Legge 190/2014. Il divieto, a decorrere dal 1° gennaio 2015, si estende anche all’acquisizione di personale mediante mobilità, anche laddove avviata anteriormente alla predetta data. Resta fermo l’obbligo di assunzione per coprire la quota riservata alle categoria protette, anche in deroga al divieto di assunzione.
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  17. Sono ammesse assunzioni a tempo determinato presso le Province?
    (Argomento: D) Organizzazione degli uffici dell'ente)
    L’art. 1, comma 420, della Legge 190/2014 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2015 alle Province delle Regioni a statuto ordinario è fatto divieto di instaurare rapporti di lavoro flessibile di cui all’articolo 9, comma 28, del D. L. 78/2010 convertito dalla Legge 122/2010 e successive modificazioni. La Circolare Ministeriale n. 1/2015 ha chiarito che i rapporti di lavoro flessibile contemplati dal predetto articolo 9 comma 28 sono i contratti di lavoro: a) a tempo determinato b) quelli flessibili scaturenti da convenzioni c) di collaborazione coordinata e continuativa d) di formazione-lavoro o altri rapporti formativi e) di somministrazione di lavoro f) di lavoro accessorio. Il divieto si estende anche alle proroghe o alla prosecuzione dei predetti rapporti di lavoro. In relazione alle finalità di contenimento della spesa, si ritiene che il divieto si estenda al caso in cui il costo del personale sia coperto da finanziamenti specifici aggiuntivi o da fondi dell'Unione europea ritenendo che per i progetti connessi con tali fondi si possa utilizzare il personale già in servizio presso gli enti di area vasta. L’art. 1, comma 6, del D. L. 31 dicembre 2014 n. 192 prevede la proroga al 31 dicembre 2015 del termine del 31 dicembre 2014 di cui all’articolo 4, comma 9, terzo periodo del d.l. 101/2013 secondo cui, nel testo novellato, “Fermo restando il divieto previsto dall'articolo 16, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, le province possono prorogare fino al 31 dicembre 2015 i contratti di lavoro a tempo determinato per le strette necessità connesse alle esigenze di continuità dei servizi e nel rispetto dei vincoli finanziari di cui al presente comma, del patto di stabilità interno e della vigente normativa di contenimento della spesa complessiva di personale.” La possibilità di proroga è da riferire, in base al contesto normativo di riferimento, al personale a tempo determinato in possesso dei requisiti di cui all’articolo 4, comma 6, del d.l. 101/2013. Sono altresì da rispettare i vincoli scaturenti dai seguenti articoli: - 1, comma 557, della legge 296/2006; - 9, comma 28, del d.l. 78/2010; - 31, comma 26, lettera d), della legge n. 183 del 2011
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  19. Cosa è previsto per i dirigenti delle Province?
    (Argomento: D) Organizzazione degli uffici dell'ente)
    Il Decreto Legge 31 agosto 2013 n. 101 – “Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni” - convertito in Legge 30 ottobre 2013 n. 125, all’art. 2, comma 8bis, aveva previsto che “Nelle more del completamento del processo di riforma delle Province, nel rispetto del patto di stabilità interno e della vigente normativa di contenimento della spesa di personale, sono fatti salvi fino al 30 giugno 2014, salva proroga motivata, gli incarichi dirigenziali conferiti dalle province stesse ai sensi del comma 6 dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, già in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto, tenuto conto del loro fabbisogno e dell'esigenza di assicurare la prestazione dei servizi essenziali. Il differimento della data di scadenza del contratto non costituisce nuovo incarico, ma solo prosecuzione dell'efficacia del contratto vigente”. Il Decreto Legge 24 giugno 2014 n. 90 – “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari” -, convertito in Legge 11 agosto 2014 n. 114, ha modificato l’art. 110 del D. Lgs. 267/2000, che disciplina l’attribuzione degli incarichi dirigenziali a tempo determinato, che è stato così riformulato: “Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato. Per i posti di qualifica dirigenziale, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi definisce la quota degli stessi attribuibile mediante contratti a tempo determinato, comunque in misura non superiore al 30 per cento dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno una unità. Fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, gli incarichi a contratto di cui al presente comma sono conferiti previa selezione pubblica volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell’incarico”. Per il periodo di durata degli incarichi, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio. L’art. 1, comma 420, della Legge 190/2014 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2015 alle Province delle Regioni a statuto ordinario è fatto divieto di attivare rapporti di lavoro ai sensi degli articoli 90 e 110 del D. Lgs. 267/2000. I rapporti in essere ai sensi del predetto articolo 110 cessano alla naturale scadenza ed è fatto divieto di proroga degli stessi. La Circolare Ministeriale n. 1/2015 ha chiarito che alle province è preclusa in modo assoluto la possibilità di attivare nuovi rapporti di lavoro ai sensi dell’articolo 90 (Uffici di supporto agli organi di direzione politica) e 110 (Incarichi a contratto) del TUEL, sia per le province che hanno svolto le nuove elezioni, sia per quelle che devono ancora svolgerle, ai sensi della legge 56/2014. Rispetto all’articolo 90 il divieto interviene impedendo l’attivazione di nuovi rapporti di lavoro. Ne deriva che, per supportare il Presidente della Provincia nell'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo attribuite dalla legge lo stesso può ricorrere esclusivamente ai dipendenti di ruolo dell'ente senza maggiori oneri. In nessun caso, invece, è consentito assumere collaboratori con contratto a tempo determinato, secondo le prescrizioni del predetto articolo 90. Secondo la circolare, la distinzione tra personale interno e soggetti esterni non rileva ai fini dell’articolo 110 in quanto in entrambi i casi è presupposto necessario l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro. In sostanza, le Province non possono stipulare contratti a tempo determinato ex articolo 110 neppure con personale interno, in quanto il predetto articolo presuppone l’attivazione di nuovi rapporti di lavoro espressamente vietata dalla lettera e). I rapporti in essere ai sensi del predetto articolo 110 cessano alla naturale scadenza ed è fatto divieto di prorogare gli stessi. Resta inteso che il contratto è risolto di diritto nel caso di ente che dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie (art. 110, c. 4). La disciplina transitoria dettata per l’articolo 110 si applica sia per le province che hanno svolto le nuove elezioni, sia per quelle che devono ancora svolgerle, ai sensi della legge 56/2014. Per quanto riguarda i contratti in essere ai sensi dell’articolo 90, per le province che non hanno ancora proceduto alle nuove elezioni si applica la disciplina ordinaria sulla durata del contratto, con la conseguenza che alla scadenza prevista il rapporto di lavoro si estingue ed è vietata tanto la proroga, quanto l’attivazione di nuovi rapporti di lavoro. Rispetto alla durata dei contratti in essere, va ricordato che la Cassazione, con sentenza 13 gennaio 2014, n. 478, ha così sancito: “Le funzioni di nomofilachia devolute a questa Corte di Cassazione inducono a formulare il seguente principio di diritto: In tema di affidamento, negli enti locali, di incarichi dirigenziali a soggetti esterni all’amministrazione si applica l’art. 19 D. Lgs. n. 165 del 2001, nel testo modificato dall’art. 14 sexies D.L. n. 155 del 2005, convertito con modificazioni nella L. n. 168 del 2005, secondo cui la durata di tali incarichi non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque, e non già l’art. 110, comma 3, D. Lgs. n. 267 del 2000 (T.U. Enti locali), il quale stabilisce che la incarichi a contratto non possono avere durata superiore al mandato elettivo del Sindaco in carica. La disciplina statale integra quella degli enti locali: la prima, con la predeterminazione della durata minima dell’incarico, è volta ad evitare il conferimento di incarichi troppo brevi ed a consentire al dirigente di esercitare il mandato per un tempo sufficiente ad esprimere le sue capacità ed a conseguire i risultati per i quali l’incarico gli è stato affidato; la seconda ha la funzione di fornire al Sindaco uno strumento per affidare incarichi di rilievo sulla base dell’intuitus personae, anche al di fuori di un rapporto di dipendenza stabile e oltre le dotazioni organiche, e di garantire la collaborazione del funzionario incaricato per tutto il periodo del mandato del Sindaco, fermo restando il rispetto del suddetto termine minimo nell’ipotesi di cessazione di tale mandato”.
  20.  
  21. Sono previste procedure di stabilizzazione del personale a tempo determinato delle Province?
    (Argomento: D) Organizzazione degli uffici dell'ente)
    L’art. 4 del D. L. 101/2013 convertito in Legge 30 ottobre 2013 n. 125 prevede che il personale a tempo determinato delle Province, in possesso dei requisiti, può partecipare ad una procedura selettiva indetta da altra amministrazione avente sede nel territorio provinciale. Tali procedure possono essere attivate fino al 31 dicembre 2018; entro tale termine, le amministrazioni possono bandire, nel rispetto dei vincoli assunzionali previsti dalla legislazione, procedure concorsuali, per titoli ed esami, per assunzioni a tempo indeterminato di personale non dirigenziale riservate esclusivamente a coloro che sono in possesso dei seguenti requisiti: a) personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che ha conseguito tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore; b) personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che ha conseguito tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 28 settembre 2007 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore; c) personale non dirigenziale che alla data del 1° settembre 2013 decreto ha maturato, negli ultimi cinque anni, almeno tre anni di servizio con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato alle dipendenze dell'amministrazione che emana il bando. d) Sono esclusi dall’ambito di applicazione di queste disposizioni, i servizi prestati presso uffici di diretta collaborazione degli organi politici. Le procedure selettive possono essere avviate solo a valere sulla programmazione delle assunzioni, relative agli anni 2013-2018, anche complessivamente considerate, in misura non superiore al 50 per cento. Le graduatorie definite in esito a dette procedure sono utilizzabili per assunzioni nel periodo 2013-2018 a valere sulle predette risorse. Possono essere adottati bandi per assunzioni a tempo indeterminato con contratti di lavoro a tempo parziale, tenuto conto dell'effettivo fabbisogno di personale e delle risorse finanziarie dedicate.
  22.  
  23. Qual è la disciplina normativa in materia di trasferimento di risorse e personale delle Province?
    (Argomento: D) Organizzazione degli uffici dell'ente)
    Si tratta di diversi atti. Anzitutto, l’articolo 1, commi 91-96, della legge n. 56 del 2014 (legge Delrio). In attuazione di quanto previsto, è stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 26 settembre 2014, recante “Criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesso con l’esercizio delle funzioni provinciali”. Sul disegno già tracciato dalla legge n. 56 del 2014, è poi intervenuta la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità), articolo 1, commi 418-430, che ha anche imposto dei tagli alle spese delle Province e delle Città metropolitane destinate al personale. Inoltre, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il 29 gennaio 2015, hanno adottato la circolare n. 1/2015, recante “Linee guida in materia di attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle citta metropolitane. Articolo 1, commi da 418 a 430, della legge 23 dicembre 2014, n. 190”. Alcuni passaggi delle linee guida sono stati ulteriormente chiariti con la nota, del 27 marzo 2015, del Dipartimento della funzione pubblica “questioni in materia di ricollocazione del personale delle Province e delle Città metropolitane” .
  24.  
  25. Entro quando si concluderà il percorso di mobilità del personale delle Province?
    La legge di stabilità per il 2015 (legge …2015, n. 190, articolo 1, comma 428) ha prorogato il termine inizialmente previsto dalle legge n. 56 del 2014. Si prevedono due tappe principali: una prima il 31 dicembre 2016, entro la quale potranno essere utilizzare forme contrattuali a tempo parziale per il personale non ancora ricollocato attraverso le procedure di mobilità; una seconda, che coincide con il 31 dicembre 2018, data nella quale si potrebbe arrivare alla risoluzione del rapporto di lavoro in caso di mancato assorbimento dei soprannumeri attraverso le procedure di mobilità.
  26.  
  27. Fino alla conclusione del processo, il personale delle Province destinato alle procedure di mobilità dove presta servizio?
    Nelle more delle procedure di mobilità previsto dall’articolo 1, commi 421-428, della legge n. 190 del 2014, il relativo personale rimane in servizio presso le Città metropolitane e le province con possibilità di avvalimento da parte delle regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell’ente utilizzatore (articolo 1, comma 427, l.n. 190/2014).
  28.  
  29. Esiste una piattaforma informatica per agevolare le procedure di mobilità del personale?
    Si, è stata attivata la piattaforma http://www.mobilita.gov.it/home.php.
  30.  
  31. Le procedure di mobilità riguardano anche il personale adibito alle politiche attive del lavoro e ai centri per l’impiego?
    Nell'articolo 1, comma 429, della legge 190/2014, viene introdotta una disciplina speciale per il personale degli enti di area vasta adibito a servizi per l'impiego e politiche attive del lavoro, in particolare in relazione al finanziamento della spesa di personale a tempo indeterminato ed alle proroghe per i tempi determinati e per le collaborazioni coordinate e continuative. Tale previsione, indirizzata soltanto agli enti di area vasta, ha l'obiettivo di consentire il regolare funzionamento dei servizi per l'impiego e la conduzione del Piano per l'attuazione della raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 22 aprile 2013 sull'istituzione di una "garanzia per i giovani". La previsione detta una disciplina speciale per le città metropolitane e le province che continuino a esercitare le funzioni ed i compiti relativi ai servizi per l'impiego e alla politiche attive del lavoro. Tale disciplina speciale è destinata al personale dedicato alle predette funzioni e va letta in relazione al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive per il lavoro di cui alla legge delega n. 183/2014. Tale personale seguirà dunque un percorso di ricollocazione separato da definire in sede di attuazione della legge 183/2014.
  32.  
  33. Qual è la disciplina normativa in materia di trasferimento di risorse e personale delle Province?
    Si tratta di diversi atti. Anzitutto, l’articolo 1, commi 91-96, della legge n. 56 del 2014 (legge Delrio). In attuazione di quanto previsto, è stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 26 settembre 2014, recante “Criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesso con l’esercizio delle funzioni provinciali”. Sul disegno già tracciato dalla legge n. 56 del 2014, è poi intervenuta la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità), articolo 1, commi 418-430, che ha anche imposto dei tagli alle spese delle Province e delle Città metropolitane destinate al personale. Inoltre, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il 29 gennaio 2015, hanno adottato la circolare n. 1/2015, recante “Linee guida in materia di attuazione delle disposizioni in materia di personale e di altri profili connessi al riordino delle funzioni delle province e delle citta metropolitane. Articolo 1, commi da 418 a 430, della legge 23 dicembre 2014, n. 190”. Alcuni passaggi delle linee guida sono stati ulteriormente chiariti con la nota, del 27 marzo 2015, del Dipartimento della funzione pubblica “questioni in materia di ricollocazione del personale delle Province e delle Città metropolitane” .
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